IL CORAGGIO DEL COLORE

Carlo Rampazzi, architetto e designer, non si è mai troppo interessato alle cinquanta sfumature di grigio. «Sì, parlo proprio di quel grigio onnipresente nelle case che oggi si vede ovunque sulle riviste di interior design,» dice. «È un colore che uso pochissimo. Esiste una tale varietà di sfumature nel mondo che sembra folle mettersi tutti a inseguire lo stesso colore, tanto più se è così cupo e penitenziale.» Rampazzi non è un uomo delle mezze misure. È uno spirito eccentrico e indomabile, ironico e provocatorio, l’ultimo imperatore di una stirpe di visionari che, nei quattro angoli del pianeta, conducono la loro personale crociata contro l’ossessione delle tendenze e l’omologazione degli stili. Del resto, è il primo a rifiutare di essere incasellato sotto un’etichetta: nemmeno quella istituzionale di “designer svizzero”, anche se di fatto ad Ascona, nel Canton Ticino, la sponda svizzera del Lago Maggiore, è nato, ha sempre studiato ed espone nel suo showroom.

«Il luogo in cui ciascuno di noi cade sulla Terra deve essere un punto di partenza, un germoglio che si slancia verso il cielo, non una radice che trattiene e zavorra», chiarisce questo creativo a tutto tondo che, dopo essersi laureato in Architettura e Interior Design a Lugano e Parigi, nel 1970 iniziò – non ancora trentenne – la sua carriera cosmopolita. Nel tempo sono maturati progetti per prestigiosi clienti internazionali e, nel 2003, è iniziata la collaborazione con Sergio Villa Mobilitaly di Sergio Villa. L’artista e decoratore lombardo, custode di un savoir-faire unico nel campo dell’alto artigianato artistico, ha partecipato e tuttora partecipa alla creazione delle collezioni di arredi più esclusive firmate Rampazzi, ma anche a scenografie su misura per residenze private, boutique, ristoranti stellati (come il Rico’s a Küsnacht, Zurigo) e per i grandi hotel di design: dall’Eden Roc di Ascona al Tschuggen di Arosa, dal Carlton di St. Moritz al Valsana di Arosa, dal Bülow Palais di Dresda al Burj al-Arab di Dubai. In ciascuna delle sue opere, dal vassoio alla nave da crociera (come la Sound Of Music ad Amsterdam), Carlo Rampazzi mette sempre in gioco una visione senza tempo del progetto e dell’arredo ma, soprattutto, la passione per colori esplosivi, protagonisti di una tavolozza piena, decisa, totalizzante. Una costante del suo racconto estetico rimasta invariata persino durante i gelidi anni Novanta, periodo in cui il minimalismo bianco dettava legge ovunque, dalla moda al design industriale.

«Come la musica, anche il colore è una vibrazione che rompe la noia e risuona nella persona intera: occhi, pelle, cuore. Il colore ha un potere evocativo straordinario, porta messaggi, è cultura, storia, filosofia, geografia, magia, sentimento… Mi chiedo perché, a un certo punto, la gente comune ma anche architetti e creativi abbiano iniziato a rifiutarlo, quasi volessero mettersi una maschera sugli occhi», si domanda Rampazzi, che di recente ha firmato Le secret de Lalique, un tavolo-scultura in edizione limitata in legni preziosi e cristalli. «Molti dicono di apprezzare il rosso, il viola, l’arancione, il turchese, ma poi in casa vorrebbero solo il crema, perché temono di stancarsene. Io rispondo che l’universo intorno a noi è fatto di colore: dai piumaggi degli uccelli alle ali dei coleotteri, dalle foreste ai tramonti, il colore è davvero ovunque. Nel mondo antico, poi, i toni neutri non esistevano: le case di Pompei erano in technicolor, ma anche la civiltà etrusca, a cui ho dedicato una capsule di mobili e accessori, si ispirava a una palette di tonalità vivacissime, di cui è arrivata fino a noi una traccia. Penso anche ai mosaici di Ravenna, alla Cappella Sistina, penso ai maestri del Barocco, a Matisse, a Chagall… Perché non dovremmo fare tesoro di questo straordinario patrimonio cromatico?».

Una visita all’atelier “Selvaggio” di Carlo Rampazzi ad Ascona, non lontano da quel Monte Verità frequentato dagli artisti, pensatori e filosofi più eclettici del secolo scorso, è un’esperienza immersiva.

(Scritto da Fiammetta Bonazzi)